Il braccialetto perduto

Alberto Pio per il compleanno di sua moglie Arcangiolina le regalò un  braccialetto di vetro azzurro che all’epoca era un oggetto di valore. Lei se lo metteva ad ogni occasione importante, ma quella sera… non lo trovava! Allora Cesare si arrabbiò così tanto che cominciò a picchiarla a sangue dicendo: ” Come hai potuto perdere il braccialetto che ti ho regalato ?!”. Lei urlava, urlava per chiedere aiutoma smise… Cesare vide che non respirava più: era morta per un BRACCIALETTO PERDUTO.

Hilal ed Elena

 

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La vittima dell’ascia

A quell’epoca l’ascia era un attrezzo che veniva usato nella vita quotidiana. Le persone si scaldavano con il camino e avevano bisogno della legna, quindi inventarono questo strumento di lavoro per tagliarla in piccoli pezzi. Quest’ascia però è stata usata in modo sbagliato.

Un giorno un falegname stava lavorando nella sua falegnameria ma ad un certo punto sentì un rumore insolito…era un uomo incappucciato con un’ascia in mano che gli tagliò la testa, visto che il falegname aveva dei debiti con lui.

Hilal ed Elena.

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L’urna cineraria

Al tempo dei romani i morti venivano seppelliti in tombe (se erano ricchi) o in fosse comuni (se erano poveri), ma in qualsiasi caso non c’era più posto sotto terra e non sapevano come fare! Allora decisero di inventare una specie di camino per bruciare i corpi delle persone in modo da liberarsene senza doverli seppellire.

Hilal ed Elena.

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IL CINERARIO, PARTE 2

Nel nostro villaggio prima dei banchetti veniva celebrato un rito.

Avevamo a disposizione il magico cinerario che serviva per bruciare le erbe mistiche e per augurare prosperità e fortuna al banchetto ma soprattutto al villaggio.

Gli anziani della tribù prepararono l’occorrente per il rito e misero all’interno del cinerario le varie erbe.

Ma a un tratto gli erbaggi non presero fuoco… cos’era successo???

Passarono tre quarti d’ora e all’improvviso cadde un fulmine sopra al cinerario e… prese fuoco.

Il rito fu celebrato alla perfezione!!!

il manoscritto

Nel nostro villaggio i genitori ci raccontavano di un antico manoscritto il quale era scritto nella lingua che usavano i nostri trisavoli.

Ci dicevano che una volta tradotto poteva condurre a un tesoro e i popoli delle altre terre se ne interessavano molto.

Qualche anno dopo la sacra scrittura venne rubata e dopo tre anni fu rinvenuta stracciata.

Il sommo anziano ci confesso la verità: era tutto falso!!

Non c’era nessun tesoro e i nostri trisavoli lo fecero per istruirci a livello culturale.

 

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POSATE E UNIFORME

Nel 1860 un giovane di nome Lorenzo Bianchi partì con Garibaldi per la “spedizione di Mille”. Era un ragazzo perseverante e che sapeva combattere, per questo si fece subito notare tra gli altri volontari. Dopo la battaglia di Calatafimi fu promosso a luogotenente di Garibaldi per la sua intraprendenza e capacità di prendere decisioni difficili in poco tempo. Fu grazie a questi pregi che conquistò molte medaglie nel corso della liberazione dell’Italia Meridionale… Peccato che fosse anche falso e avido di potere! Comunque, prima di entrare a Napoli i garibaldini decisero che fosse meglio lasciare tutte le posate e i piatti che possedevano a Pompei, perché occupavano troppo spazio e, tanto, se avessero vinto contro i Borboni e fossero entrati vincitori a Napoli, di persone che offrivano loro cibo e posate ce ne sarebbero state abbastanza; mentre,in caso contrario, avrebbero arretrato fino a Pompei per recuperare ciò che avevano lasciato. Lasciarono là tutto tranne, naturalmente, posate e piatto di Garibaldi. Mentre erano in marcia vicino alla costa, a quest’ultimo venne fame e volle assolutamente che gli venisse preparato qualcosa. Giuseppe Garibaldi stava per iniziare a mangiare a fianco di Bianchi, quando venne chiamato per una questione urgente. Bianchi aveva escogitato il piano molte sere prima: avrebbe avvelenato Garibaldi prima di entrare a Napoli e, se avessero vinto,si sarebbe preso il merito di tutte le vittorie e guidare quelli che d’ora in poi sarebbero stati i “Bianchini” e non i “Garibaldini”. Mise il veleno nel piatto e aspettò che tornasse. Non si rese nemmeno conto del giovane De Marchi che, passando dietro a un albero, si accorse di ciò che stava facendo e si fermò. Quest’ultimo pensò a cosa fare per salvare Garibaldi e si rese conto che la cosa da fare era solo una e la mise subito in pratica: arrivando di fianco a Bianchi, rovesciò il piatto e il suo contenuto, poi lanciò piatto e posate in mare così che Garibaldi non avrebbe più saputo come mangiare. Bianchi fu smascherato e condannato, mentre De Marchi fu promosso a luogotenente di Garibaldi.

CATERINA RIGHI

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L’ appartamento nobile

L’ appartamento nobile si trova all’ interno del Palazzo dei Pio, il percorso è diviso in 9 sale. Qui sono esposte le opere della collezione del museo del quattrocento cinquecento, certi sono quadri o mobili altri invece sono vere proprie parti del muro con affreschi, soffitti e decorazioni (sono architetture rinascimentali).

Nell’ esposizione degli ambienti troviamo l’ aggiunzione delle opere xilografiche: xilografia italiana e l’ invenzione del chiaroscuro del cinquecento; xilografia contemporanea; la diffusione della stampa a Carpi.

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FRASI DEI DEPORTATI

“Il destino di ogni deportato è la morte ” scrisse Mordechaj, Polonia. Questa è una delle frasi incise nei muri nel Museo al deportato di Carpi. Il museo è stato inaugurato nel 1973 ed è una vasta area dove si commemora la deportazione con reperti e materiali fotografici.

Dentro questo edificio sono stati incisi, nei muri, delle lettere di condannati a morte della Resistenza europea, che confinano la loro speranza in messaggi ai familiari.

La maggior parte di questi prigionieri sono ebrei, che a causa della dittatura nazista, vengono trasportati in campi di lavoro e quando ormai, immersi dalla fatica , “non ce la fanno più” vengo uccisi e i loro corpi bruciati nei forni crematori.

Alcuni dei prigionieri nei lager potevano scrivere una lettera ai loro familiari solo una volta al mese . Le lettere che mandavano ai parenti erano piene di tristezza ma allo stesso tempo di coraggio come questa:

- “Dolce è la morte la fuori sulle barricate , ma anche appeso alla forca so di non essermi mai  arreso ” .

Altre invece invocano la morte come un senso di libertà :

_” è notte. Improvvisamente si sente la chiave che stride nella serratura. Ecco , viene adesso ciò aspettavo da lungo …….

Altri pieni di rimpianti :

_” non rimpiango ciò che ho fatto e , se lo potessi , ricomincerei” , scrisse un parroco.

Poi c’erano prigionieri che non pensavano a se stessi ma agli altri , come  Odoardo Focherini:

_” Se tu avessi visto , come ho visto io in questo carcere , cosa fanno patire algli ebrei , non rimpiangeresti se non di averne salvati di più” .

Rammento solo  che quando si va in questo museo e si leggono queste frasi non bisogna soltanto leggerle ma bisogna restare li e pensare a tutte le cose più atroci che i deportati  hanno provato .

Spero soltanto che cose come le leggi razziali , l’olocausto, ecc.  non debbano più accadere .

Concludo con una delle lettere che mi ha colpito di più:

” Anche se io vado , la vita andrà avanti ; voi continuerete a vivere per guidare l’uomo verso una migliore esistenza in cui più nessuno sarà condannato a morte”

manuel e mattia

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MUSEO MONUMENTO AL DEPORTATO DI CARPI

 

 

 

 

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Il Museo Monumento al Deportatodi Carpi è un museo storico sulla deportazione e sui campi di concentramento nazisti della seconda guerra mondiale. Progettato dallo studio BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressutti e Rogers), in collaborazione con Giuseppe Lanzani e Renato Guttuso, è situato al piano terra delPalazzo dei Pio, nel centro storico della città.Il museo, inaugurato nel 1973, è composto da 13 sale, caratterizzate da luci ed elementi grafici particolari tesi a creare un’atmosfera di impatto emotivo per il visitatore basato su simboli e graffiti.

La continuità delle sale è scandita dall’incisione di frasi alle pareti, che costituiscono la principale testimonianza del Museo: si tratta di brani scelti da Nelo Risidalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea (Einaudi, Torino, 1954); le frasi delle vittime incise sui muri trattano la loro terrificante esperienza nei lager nazisti, e vogliono contribuire alla partecipazione emotiva del visitatore. Le pareti di alcune sale sono decorate da graffiti su bozzetti di noti pittori, come Cagli, Guttuso, Léger, Longoni, Picasso, mentre le teche contengono reperti, materiali e fotografici, che documentano la vita dei prigionieri nei campi, raccolti e ordinati da Lica e Albe Steiner. L’ultima sala reca incisi sulle pareti e sulle volte i nomi di circa 15.000 deportati dall’Italia nei lager. Iscrizioni e graffiti sono stati incisi sul cemento fresco dai maestri della Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi; nel caso di scritte, l’incisione raggiunge un sottostante strato di intonaco color “sangue rappreso” che fornisce al testo il tono cromatico dominante. Già nel 1955 a Carpi venne creato un comitato presieduto dal sindaco Bruno Losi e composto dai rappresentanti degli enti locali, dall’unione delle comunità israelitiche e dalle associazioni di ex deportati e combattenti con lo scopo di organizzare iniziative tese a valorizzare il sacrificio e la resistenza delle vittime dei nazisti. Fin dal 1961 il comitato aveva in animo di erigere a Carpi un Monumento al Deportato e di ufficializzare tale decisione in una riunione straordinaria che avrebbe dovuto aver luogo nel corso di una manifestazione nazionale organizzata per il dicembre di quello stesso anno. Il 9 e 10 dicembre si riversò a Carpi una folla di 30.000 persone, tra cui molti ex deportati convenuti da tutta Europa per ricordare tutte le vittime dei Lager nazisti. Le autorità, i parlamentari e gli esponenti della Resistenza che presero la parola caldeggiarono unanimemente l’iniziativa del comitato promotore. Il successo di una mostra temporanea, allestita in quella occasione dall’Istituto storico della Resistenza di Modena negli ambienti del palazzo dei Pio, suggerì l’idea di arricchire con un’esposizione permanente quel Monumento al Deportato che Carpi si accingeva ad erigere. Dopo l’approvazione ufficiale di tale iniziativa da parte del consiglio comunale, avvenuta il mese successivo, Bruno Losi, in qualità di presidente del comitato promotore, espose il progetto in una conferenza stampa tenutasi in Senato il 19 dicembre 1962 e successivamente il capo dello Stato concesse incondizionatamente il suo alto patrocinio esprimendo, inoltre, il desiderio di mantenere uno stretto contatto con il comitato promotore per seguirne lo sviluppo. Nel contempo il comune di Carpi aveva individuato in un’ampia zona a piano terra del palazzo dei Pio la sede più idonea ad ospitare l’erigendo Museo Monumento. Il bando di concorso nazionale rivolto ad architetti ed artisti fu reso pubblico il 20 gennaio 1963 con scadenza otto mesi prorogata al 20 novembre. I sette progetti pervenuti alla commissione giudicatrice furono esaminati nei primi giorni del febbraio 1964 e il primo classificato fu quello dello studio milanese BBPR, gruppo composto, dai 4 architetti Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers in collaborazione con il pittore Renato Guttuso. Nel 1944 Banfi e Belgiojoso erano stati arrestati e deportati a Mauthausen dove Banfi morì: partecipare al concorso coinvolgeva il gruppo a livello tanto personale, quanto professionale. L’esecuzione materiale dei lavori fu affidata alla Cooperativa Muratori di Carpi che iniziò l’opera nel 1967.Il Museo Monumento al Deportato politico e razziale venne inaugurato il 14 Ottobre 1973 dal presidente della Repubblica, Giovanni Leone nel corso di una manifestazione che richiamò a Carpi più di 40.000 persone. Alla cerimonia erano presenti Sandro Pertini, presidente della Camera dei Deputati, il senatore Umberto Terracini oltre ad altri importanti rappresentanti di governo, delle forze armate, del mondo culturale, artistico e religioso. Dal 2001 il Museo Monumento al Deportato politico e razziale, così come il Campo di Fossoli, sono gestiti direttamente dalla Fondazione Fossoli, emanazione del progetto nato negli anni di creazione del Museo che prevedeva l’apertura di un Centro Internazionale di documentazione dedicato alle tematiche della deportazione.

LA SALA DEI NOMI:

Sulle pareti e sulle volte della Sala dei Nomi sono graffiti 14.314 nomi di prigionieri politici e razziali, deportati nei campi di sterminio nazisti. I nomi sono stati scelti a casa tra gli oltre 60.000 che compongono le liste ufficiali di deportati italiani. Tutti i nomi graffiti in questa sala sono di persone deportate dall’Italia tranne il nome di Anna Frank.

CORTILE DELLE STELE:

Nel cortile esterno sedici grandi stele, monoliti in cemento alti sei metri, recano i nomi di alcuni campi di concentramento e sterminio nazisti. Le cavità da cui emergono le stele sono arricchite da roseti, che simboleggiano la presenza di nuove vite dopo tutto quello che è successo.

 

GRAFFITI:

Sulle pareti di tutto il museo si possono osservare dei graffiti che raccontano e “descrivono” i sentimenti e di tutti i deportati. In questi graffiti vi sono tre colori dominanti il nero ( colore che simboleggia la morte), il rosso (colore che simboleggia il sangue) e infine il grigio (colore che simboleggia la cenere).

FRASI:

La continuità delle sale è scandita dall’ incisione di frasi alle pareti, che accompagnano il visitatore lungo l’ intero percorsoè costituiscono la principale testimonianza del museo. Si tratta di brani scelti da Nelo Busi dalle “lettere dei condannati a morte della Resistenza europea”: dai muri lee vittime prlano direttamente al visitatore, con parole semplici e immediate, e lo coinvolgono in un’ intensa partecipazione emotiva.

LE TECHE:

Le techecontengono pochi ma significativi reperti, materiali e fotografici che documentano la vita dei prigionieri nei campi, raccolti e ordinati da Lica e Albe Steiner.

 

Coppola Francesca, Pappalardo Benedetta, Draisci Maria Giulia, Vincenzi Martina

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